sabato 3 maggio 2008

Sgarbi l'animale




[...] Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure [...]

tratto dall'art 21 della Costituzione italiana.

Perchè Sgarbi, in nome della democrazia, nega la parola a chiunque non abbia la sua opinione?

Da ieri sera le tv ed i giornali riportano unicamente l'indignazione per l'uso che Santoro ha fatto della televisione, trascurando totalmente il comportamento animale di Sgarbi insieme ai contenuti stessi delle proposte avanzate dal V2 Day.

Chiunque si senta insultato da Grillo è libero di querelarlo, ma non capisco perchè Santoro non avrebbe dovuto mostrare registrazioni del V2 day?
C'erano 100.000 persone in piazza a Torino, perchè negare l'esistenza di quell'evento e dei suoi contenuti?

8 commenti:

Anonimo ha detto...

ammazza, pieno di commenti.... interessante il post....

giò ha detto...

non sono dello stesso parere i 100 mila che hanno visto il filmato che ho messo su youtube, e i quasi 800 che l'hanno commentato ^_^

giò ha detto...

ah dimenticavo...
http://it.youtube.com/watch?v=VWYZJdtgS2Q

Anonimo ha detto...

ah.. quand'è cosi'......

giò ha detto...

oh..sei tu ch l'hai buttata sull'interesse...

Anonimo ha detto...

Non me lo merito, non c'è ragionevolezza nel fatto che avverta il bisogno di difendere Marco Travaglio. Il suo giustizialismo fascistoide, il suo pettegolezzo giudiziario, mi sempre hanno dato l'orticaria. Come tutti i giustizialisti, se ne frega della giustizia. Non si cura del fatto che è ben oltre la bancarotta, non si batte
perché i tribunali funzionino, non avverte il dramma degli innocenti. A lui interessa solo lo spettacolo delle accuse. Con il materiale prodotto dalle procure ha riempito articoli e libri, facendosi portavoce d'ogni ipotesi di reato ha costruito il suo successo televisivo. Grazie alla debolezza morale e culturale della sinistra è divenuto uno dei pifferai che l'ha condotta nel baratro dell'anti politica, praticata con la spocchia cieca di una dissennata e mal supposta superiorità.
Però, però, petrolinianamente parlando, la colpa non è mica solo sua. Lui non ha avuto orrore di sé, certo, ed è stato disonesto quanto basta per non prendere atto di tutte le volte che ha avuto torto, ma chi gli stava accanto, o piuttosto dietro, l'ha osannato nella speranza che servisse a vincere una partita che non si sentiva in grado di giocare politicamente. Le piazze contro il diritto non le ha mosse lui, che s'è gettato nell'orgia forcaiola per perduto amore di sé. E quando, oggi, dice che raccontare certe storie non può essere giusto se la sinistra le acclama e sbagliato se la sinistra s'è accorta che è meglio parlare d'altro, ha ragione. Così come ha ragione quando sostiene che il compito di chi scrive senza essersi preventivamente arruolato è proprio quello di toccare temi che altri giudicano scomodi, o sconvenienti.
Non lo leggo spesso, per ragioni igieniche, ma mi piace che scriva. Uno così deve anche parlare, ma è bene lo faccia avendo contraddittori all'altezza, senza conduttori incapaci o complici che lo millantano come fonte di verità. Se avesse maggiore concorrenza nella competenza potrebbe trarne il giovamento di passare da velinaro a capace tratteggiatore della realtà. Se sapesse prendere atto che le ipotesi d'accusa sono solo carta straccia, ove non accompagnate da sentenze definitive, farebbe il suo ingresso nella civiltà del diritto. E se fosse coraggioso, così come se fosse bravo, scoprirebbe che si possono descrivere scandali enormi pur non facendo ricorso alle categorie penali, che competono ad altri. Rifletta su quel che è capitato a me, dopo il lavoro fatto su Telecom, e lo paragoni con quel che capita a lui, facendo il copista di procura. Magari, in un sussulto di dignità, gli si raddrizza la schiena.
Il guaio della letteratura che ha coltivato è d'essere saccente e falsante. Ma questo non significa non ci siano storie e connessioni che meritano d'essere scandagliate e raccontate. Metto nel conto, naturalmente, le due obiezioni che qualcuno mi muoverà: a. di Travaglio è meglio non parlare, gli si fa solo pubblicità; b. se c'è un modo per farlo tacere, tanto di guadagnato. La penso diversamente, perché la nostra scuola del diritto, il nostro garantismo nella libertà, non tollera nessuna eccezione. Mai.

http://www.davidegiacalone.it/

Anonimo ha detto...

E' utile ragionare sul "caso Schifani". E - ancora una volta - sul giornalismo d'informazione, sulle "agenzie del risentimento", sull'antipolitica.

Marco Travaglio sostiene, per dirne una, che fin "dagli anni Novanta, Renato Schifani ha intrattenuto rapporti con Nino Mandalà il futuro boss di Villabate" e protesta: "I fascistelli di destra, di sinistra e di centro che mi attaccano, ancora non hanno detto che cosa c'era di falso in quello che ho detto". Gli appare sufficiente quel rapporto lontano nel tempo - non si sa quanto consapevole (il legame tra i due risale al 1979; soltanto nel 1998, più o meno venti anni dopo, quel Mandalà viene accusato di mafia) - per persuadere un ascoltatore innocente che il presidente del Senato sia in odore di mafia. Che il nostro Paese, anche nelle sue istituzioni più prestigiose, sia destinato a essere governato (sia governato) da uomini collusi con Cosa Nostra. Se si ricordano queste circostanze (emergono da atti giudiziari) è per dimostrare quanto possono essere sfuggenti e sdrucciolevoli "i fatti" quando sono proposti a un lettore inconsapevole senza contesto, senza approfondimento e un autonomo lavoro di ricerca. E' un metodo di lavoro che soltanto abusivamente si definisce "giornalismo d'informazione".

Le lontane "amicizie pericolose" di Schifani furono raccontate per la prima volta, e ripetutamente, da Repubblica nel 2002 (da Enrico Bellavia). In quell'anno furono riprese dall'Espresso (da Franco Giustolisi e Marco Lillo). Nel 2004 le si potevano leggere in Voglia di mafia (di Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo, Carocci). Tre anni dopo in I complici (di Lirio Abbate e Peter Gomez, Fazi). Se dei legami dubbi di Schifani non si è più parlato non è per ottusità, opportunismo o codardia né, come dice spensieratamente Travaglio a un sempre sorridente Fabio Fazio, perché l'agenda delle notizie è dettata dalla politica ai giornali (a tutti i giornali?).

Non se n'è più parlato perché un lavoro di ricerca indipendente non ha offerto alcun - ulteriore e decisivo - elemento di verità. Siamo fermi al punto di partenza. Quasi trent'anni fa Schifani è stato in società con un tipo che, nel 1994, fonda un circolo di Forza Italia a Villabate e, quattro anni dopo, viene processato come mafioso.

I filosofi ( Bernard Williams, ad esempio) spiegano che la verità offre due differenti virtù: la sincerità e la precisione. La sincerità implica semplicemente che le persone dicano ciò che credono sia vero. Vale a dire, ciò che credono. La precisione implica cura, affidabilità, ricerca nello scovare la verità, nel credere a essa. Il "giornalismo dei fatti" ha un metodo condiviso per acquisire la verità possibile. Contesti, nessi rigorosi, fonti plurime e verificate e anche così, più che la verità, spesso, si riesce a capire soltanto dov'è la menzogna e, quando va bene, si può ripetere con Camus: "Non abbiamo mentito" (lo ha ricordato recentemente Claudio Magris).

Si può allora dire che Travaglio è sincero con quel dice e insincero con chi lo ascolta. Dice quel che crede e bluffa sulla completezza dei "fatti" che dovrebbero sostenere le sue convinzioni. Non è giornalismo d'informazione, come si autocertifica. E', nella peggiore tradizione italiana, giornalismo d'opinione che mai si dichiara correttamente tale al lettore/ascoltatore. Nella radicalità dei conflitti politici, questo tipo di scaltra informazione veste i panni dell'asettico, neutrale watchdog - di "cane da guardia" dei poteri ("Io racconto solo fatti") - per nascondere, senza mai svelarla al lettore, la sua partigianeria anche quando consapevolmente presenta come "fatti" ciò che "fatti", nella loro ambiguità, non possono ragionevolmente essere considerati (a meno di non considerare "fatti" quel che potrebbero accusare più di d'un malcapitato).

L'operazione è ancora più insidiosa quando si eleva a routine. Diventata abitudine e criterio, avvelena costantemente il metabolismo sociale nutrendolo con un risentimento che frantuma ogni legame pubblico e civismo come se non ci fosse più alcuna possibilità di tenere insieme interessi, destini, futuro ("Se anche la seconda carica dello Stato è oggi un mafioso..."). E' un metodo di lavoro che non informa il lettore, lo manipola, lo confonde. E' un sistema che indebolisce le istituzioni. Che attribuisce abitualmente all'avversario di turno (sono a destra come a sinistra, li si sceglie a mano libera) un'abusiva occupazione del potere e un'opacità morale. Che propone ai suoi innocenti ascoltatori di condividere impotenza, frustrazione, rancore. Lascia le cose come stanno perché non rimuove alcun problema e pregiudica ogni soluzione. Queste "agenzie del risentimento" lavorano a un cattivo giornalismo. Ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. Si fanno pratica scandalistica e proficuamente commerciale alle spalle di una energica aspettativa sociale che chiede ai poteri di recuperare in élite integrity, in competenza, in decisione. Trasformano in qualunquismo antipolitico una sana, urgente, necessaria critica alla classe politico-istituzionale.

Nel "caso Schifani" non si può stare dalla parte di nessuno degli antagonisti. Non con Travaglio che confonde le carte ed è insincero con i tanti che, in buona fede, gli concedono fiducia. Non con Schifani che, dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere sul quel suo passato sconsiderato. Non con chi - nell'opposizione - ha espresso al presidente del Senato solidarietà a scatola chiusa. Non con la Rai, incapace di definire e di far rispettare un metodo di lavoro che, nel rispetto dei doveri del servizio pubblico, incroci libertà e responsabilità. In questa storia, si può stare soltanto con i lettori/spettatori che meritano, a fronte delle miopie, opacità, errori, inadeguatezze della classe politica, un'informazione almeno esplicita nel metodo e trasparente nelle intenzioni.

(13 maggio 2008) di GIUSEPPE D'AVANZO - La Repubblica

Anonimo ha detto...

http://it.wikipedia.org/wiki/Europa_7

leggi qui, poi vedi se e' il caso di mettere il bollino anti Fede....